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Gli atleti della "Generazione Z"

Guardo con ritrosia le etichette perché possono diventare, a parer mio, confini che delimitano e riducono le possibilità di azione, alterando e distorcendo la visione della propria ed altrui vita.

Ho sempre creduto nella crescita e nel cambiamento possibile per chiunque lo volesse, al di là di ogni classificazione semplificativa. In questo modo, mi concedo di superare rigidi pregiudizi, immaginandomi nelle vesti di uno scienziato capace di osservare la realtà con curiosità.

Mi relaziono con le persone senza aggiungere tasselli arbitrari che sarebbero solo nella mia mente, riuscendo a raggiungere la loro più profonda autenticità ed irripetibile unicità.

L’abito dello scienziato curioso mi permette di osservare, in modo non pregiudicante, più persone che vengono racchiuse in una definizione, con lo scopo di avere una visione d’insieme e senza giungere a sterili conclusioni.

Con questo atteggiamento mi avvicino a chi appartiene alla “Generazione Z”, senza arrischiarmi in riduzioni desertiche e vuote, cogliendo la loro pienezza e valorizzando qualità e risorse personali, piuttosto che riduzionismi e profili standard.

Ma chi sono gli appartenenti alla Generazione Z?

Si tratta di coloro i quali sono nati tra il 1995 e il 2012, definiti, soprattutto, come nativi digitali, e come chi ha, dunque, importanti competenze tecnologiche e che trascorre molto tempo immerso in realtà digitali e virtuali.

Mi preme, tuttavia, aggiungere, alla suddetta specifica, che sono anche nati e cresciuti in un mondo impegnato nella lotta al terrorismo, che si sono ritrovati, altresì, in contesti perlopiù penalizzati da impetuose crisi economiche e che sono stati chiamati, improvvisamente, a rispondere ad un’emergente pandemia, inattesa e spaventante.

Sono naturalmente molto più di quanto, appena e succintamente, esposto.

Il punto nucleare di questa trattazione, però, è di accendere i riflettori sui giovani atleti e sportivi della cosiddetta “Generazione Z”, col fine di migliorare le relazioni interpersonali, di comunicare in modo efficace e di adattare le sedute di allenamento alle loro caratteristiche tipiche, in modo da non trascurare il loro benessere e i bisogni, anche quelli più nascosti.

Come? Anzitutto, riconoscendo le loro specifiche peculiarità.

Secondo fonti di letteratura scientifica, hanno tempi di attenzione più brevi, scarsa indipendenza, richiesta di frequenti feedback accettando poco quelli negativi, preferiscono giungere direttamente alle conclusioni riducendo le attese e aumentando le situazioni con gratificazioni immediate, maturano più lentamente rispetto alle generazioni passate (ad esempio, iniziano ad avere rapporti sessuali più tardi), svolgono più compiti contemporaneamente perdendo di vista l’efficacia, presentano disregolazione emotiva, hanno problemi di depressione, ansia e iperattività, sono motivati estrinsecamente da risultati, da oggetti materiali, da lodi e pressioni di genitori e allenatori, hanno frequenti disturbi della concentrazione associati ad ansia sportiva.

Chi allena i ragazzi della “Generazione Z” non può farsi trovare impreparato dinanzi alle differenze generazionali, è necessario, difatti, ampliare e adattare i propri allenamenti a ciò che, nel tempo, è naturalmente cambiato, puntando sulle infinite e prodigiose risorse di una nuova generazione che non ha né colpe né mancanze, ma solo una propria unicità che può, e deve essere, impreziosita con appositi accorgimenti e con una formazione confacente.

Il primo passo, ancora prima di una formazione qualificata, sta nel ricordarsi, però, che, nell’interazione con i ragazzi della “Generazione Z”, siamo i loro adulti di riferimento, per cui puntare il dito è dannoso mentre è fruttuoso guardarli con apertura mentale, curiosità ed entusiasmo sincero per intravedere e scorgere i loro sogni e desideri. In questo modo, saremmo in grado di attivarci con un sistema motivazionale cooperativo, costruendo solidi ponti di fiducia, ove percorrere vite degne di essere vissute.

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