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Calcio femminile: oltre gli stereotipi
Lo sport è un ambito che, talune volte e inaspettatamente, diventa teatro di diseguaglianze, pregiudizi, esclusioni sociali, differenze di genere, nonché luogo ove si manifestano e si evidenziano aspre e tenaci convinzioni di senso comune.
In questi casi, i danni che ne conseguono possono tradursi in ferite profonde a carico di malcapitati che si ritrovano direttamente coinvolti in dinamiche difficili da ignorare e digerire.
Le donne indossano spesso, anche nei contesti sportivi, le vesti di chi si ritrova a soccombere e a sacrificarsi per avere un posto che dovrebbe essere, naturalmente, già il proprio e per far rispettare diritti inviolabili e inalienabili.
Sono i più disparati gli intoppi in cui il genere femminile incorre, intoppi che ostacolano crescite, sogni ed ambizioni, e con cui si ritrovano, a muso duro ma pur sempre a fatica, a fare i conti.
Nonostante i grandi sviluppi e i favorevoli cambiamenti a cui abbiamo assistito negli ultimi anni rispetto a questi delicati temi, la strada da percorrere sembra essere ancora impervia e disagevole.
Sono mortificanti talune comunicazioni mediatiche che distinguono, tuttora, le discipline sportive in quelle tipicamente maschili e in quelle tradizionalmente femminili, o che accendono grettamente i riflettori su aspetti estetici, sessuali e privati, piuttosto che su qualità tecniche e tattiche, o sui risultati sportivi raggiunti dalle atlete del mondo femminile. Ma la storia, e purtroppo non solo quella sportiva, è piena di narrazioni femminili travisate, e deturpate, o persino nascoste.
Il calcio sembrerebbe essere uno degli sport maschili per eccellenza, o perlomeno lo è stato per lungo tempo, e, soprattutto, in alcune zone geografiche.
Le cose sono, evidentemente, cambiate, anche grazie ai Mondiali femminili di calcio disputati in Francia nel 2019, evento di grande portata e di imponente impatto educativo, sociale e culturale. Il risultato ottenuto è stato di sostanza ma non bastevole per un cambiamento radicale, completo e definitivo.
Il punto è che non esistono soluzioni semplici a situazioni complesse e le differenze di genere, con tutte le difficoltà che comportano, sono spinose e multiformi.
Questo non vuol dire affatto che non ci siano speranze di crescita e di sviluppo, tutt’altro. I tempi sembrerebbero, di fatto, maturi per riportare in auge la ratio che sottende il ricorso allo sport come potente ed indiscusso strumento di inclusione, di accettazione, di rispetto e di partecipazione sociale.
Inoltre, lo sport in generale, e il calcio nello specifico, è veicolo di un incalcolabile e prezioso valore culturale e, in quest’ordine concettuale, potrebbe divenire la spinta rivoluzionaria per il superamento di innaturali disparità ed incongruenze di trattamento tra i generi. Allora il cambiamento, nel lungo periodo, sarebbe autentico e veritiero, e i vantaggi si tradurrebbero in miglioramenti complessivi e concreti di biografie e di vite. Molte bambine non si piegherebbero più ai voleri di chi sceglie bonariamente al posto loro, e di chi segue credenze e opinioni comuni, in cambio di briciole inconsistenti di sicurezza.
Sto parlando, specificatamente, delle tante bambine, ancora troppe, che vedono sfiorire, tristemente, la possibilità di soddisfare l’intimo e irrinunciabile bisogno di seguire le proprie propensioni e passioni. Sono bambine intrinsecamente motivate a sperimentarsi nel calcio, a cui brillano gli occhi alla sola vista di un pallone o di un campo. Bambine sognanti con sogni svaniti nel nulla e con la certezza di non poter diventare ciò che vorrebbero realmente essere. La realtà calcistica femminile è però in costante e continua espansione, tanto da permettere a molte bambine grintose di essere protagoniste delle proprie esistenze, e di lottare, quotidianamente, contro ogni forma di pregiudizio e di condizionamento. A volte accettano di non avere spogliatoi dedicati, di giocare in squadre miste, di percorrere lunghe distanze per giocare in società calcistiche maggiormente organizzate per il calcio femminile. E mi fa piacere osservare il sensibile aumento di genitori disposti ad ascoltare le proprie figlie, capaci di superare inutili conflitti e vacui stereotipi. Il superamento di una radicata ideologia che, per molto tempo, ha relegato la donna ad un livello sportivo secondario, esaltandone primariamente doti estetiche ed erotizzanti, non è, a mio parere, superabile con facilità quanto piuttosto con impegno pragmatico e con interventi fattivi che coinvolgano sia il calcio amatoriale e dilettantistico che quello professionistico. Mi sento, a tal proposito e personalmente, soddisfatta di quanto finora fatto e dei risultati raggiunti all’Oasi Sanfeliciana, scuola di calcio con cui collaboro che, da anni, è protagonista di cambiamenti consolidati sul territorio e che si è impegnata, con serietà̀ e caparbietà, in un progetto di calcio femminile che possa condurre, passo dopo passo, al pieno superamento di pericolosi stereotipi di genere per così dirimere i disuguali accessi alla pratica calcistica per bambine e ragazze.